Nelle
assemblee di condominio contano gli intervenuti
Nelle decisioni assembleari il via libera è possibile solo se è d'accordo
la maggioranza degli intervenuti alla riunione. Per la validità della
deliberazione deve infatti tenersi conto sia del numero dei condomini
partecipanti sia del valore millesimale del voto da questi espresso. Non è
quindi possibile valorizzare soltanto i millesimi di proprietà, anche se essi
risultino in maggioranza favorevoli all'adozione di una certa decisione. Il
voto deve infatti corrispondere anche alla maggioranza degli intervenuti in
assemblea, conteggiati per teste. Di conseguenza, nelle riunioni in seconda
convocazione, alla luce di quanto disposto dalla riforma del 2012, perché
l'assemblea sia regolarmente costituita necessita la presenza di tanti
condomini che rappresentino almeno un terzo del valore dell'edificio e un terzo
dei partecipanti al condominio, ma il quorum deliberativo deve comunque sempre
fare riferimento alla maggioranza degli intervenuti. Si tratta dell'ennesimo
chiarimento della Suprema corte in materia di conteggio dei voti assembleari,
contenuto nell'ordinanza n. 28629 pronunciata dalla sesta sezione civile lo
scorso 3 ottobre 2022.
Il caso. Nella specie una condomina aveva impugnato una deliberazione
assembleare assunta sulla base di una maggioranza calcolata sui soli millesimi
di proprietà. La Corte di appello di L'Aquila, decidendo sulla questione, aveva
ritenuto il motivo di impugnazione palesemente infondato, valutando che la
regola posta dal terzo comma dell'art. 1136 c.c. (tra l'altro indicata dai
giudici nella versione precedente alla riforma del 2012, nonostante la delibera
impugnata risalisse al 2016), dovesse intendersi nel senso che coloro che
abbiano votato contro l'approvazione non devono rappresentare un valore
proprietario maggiore rispetto a coloro che abbiano votato a favore. Infatti,
secondo i giudici di appello, “la disciplina dell'art. 1136 c.c. privilegia il
criterio della maggioranza del valore dell'edificio, quale strumento coerente
per soddisfare le esigenze condominiali”.
A fronte del ricorso in Cassazione da parte della condomina impugnante, il
condominio controricorrente aveva quindi anche evidenziato come nella specie si
dovesse tenere conto della peculiare costituzione della compagine condominiale,
della quale facevano parte un numero pari di condomini, ossia quattro. In
questo caso, secondo il condominio, la norma di legge impediva stabilmente la
deliberazione dell'assemblea, poiché richiedeva la maggioranza degli intervenuti
che, tuttavia, secondo il predetto condominio, in questi casi è impossibile che
si formi in termini matematici.
L'adozione del principio maggioritario. In ambito condominiale opera il
metodo collegiale e vige il principio maggioritario, la cui applicazione si
rende necessaria per consentire al condominio di funzionare correttamente. La
realtà di tutti i giorni insegna quanto sia difficile che una collettività, per
quanto piccola, si trovi interamente d'accordo su una determinata decisione.
Ancorare il funzionamento dell'assemblea al consenso unanime di tutti i
condomini significherebbe esporre a serio rischio di paralisi la gestione del
condominio, mettendo l'amministratore in condizione di non poter operare. Al
contrario, l'adozione del principio maggioritario garantisce il contemperamento
delle (spesso) opposte esigenze legate alla corretta gestione delle parti
comuni e consente il raggiungimento di soluzioni largamente condivise.
Il carattere composito del voto. Il sistema di calcolo dei voti in condominio
procede inoltre su una sorta di doppio binario. Infatti, il legislatore, per
evitare situazioni di squilibrio nella gestione dei beni comuni, ha inteso
introdurre un secondo criterio legato al valore delle singole unità immobiliari
site nell'edificio condominiale, valore espresso in millesimi.
Ciascun voto corrisponde quindi a un determinato numero di millesimi. Il
soggetto che sia proprietario e/o titolare di altro diritto reale su più unità
immobiliari avrà diritto a un solo voto, ma vanterà un numero di millesimi pari
al valore di tutti gli immobili che si trovano nella sua disponibilità. Il
proprietario dell'attico e il condomino che abbia solo un piccolo box avranno
entrambi diritto a un voto, ma la caratura millesimale di essi avrà naturalmente
un peso molto diverso.
La formazione delle maggioranze. Il sistema misto previsto dal legislatore
per il conteggio dei voti si può vedere all'opera in sede di determinazione
delle maggioranze necessarie all'adozione delle deliberazioni assembleari, che
variano da materia a materia e sono fissate dalla legge. È possibile che
nell'ambito della stessa assemblea siano posti in discussione argomenti che
necessitano di quorum deliberativi diversi.
Per decidere validamente su ogni questione posta all'ordine del giorno sarà
quindi necessario raggiungere quel minimo di voti volta per volta indicato
dalla legge in considerazione sia del numero di condomini favorevoli sia del
prescritto valore millesimale.
La sola maggioranza per teste non sarà sufficiente ove la stessa non
corrisponda anche alla maggioranza millesimale. Viceversa, come accaduto nel
caso esaminato dalla Corte di cassazione, anche una notevole maggioranza
millesimale è priva di valore, ove non corrisponda anche alla maggioranza per
teste. Tutto ciò, come evidenziato, al fine di trovare un giusto equilibrio fra
le diverse esigenze dei condomini. È, quindi, chiaro come la gestione del
condominio si fondi su un complesso sistema di pesi e contrappesi.
La decisione della Suprema corte. Nel caso di specie la Cassazione ha
quindi accolto il motivo di ricorso sollevato dalla condomina, evidenziando
come anche nel caso in cui i partecipanti al condominio siano quattro, o
comunque in numero pari, operano senza alcuna criticità le norme in tema di
organizzazione e funzionamento dell'assemblea, restando agevolmente consentito
il richiamo al principio di maggioranza assoluta sotto il profilo dell'elemento
personale. In particolare, per il riscontro della maggioranza degli intervenuti
di cui all'art. 1136 del codice civile, occorre che la deliberazione sia
approvata almeno dalla metà più uno dei membri del collegio. Dunque, se gli
intervenuti sono quattro, la delibera deve essere approvata da tre degli aventi
diritto, e così sempre se gli intervenuti sono in numero pari.
La Suprema corte ha poi ricordato che la riforma della disciplina del
condominio degli edifici del 2012 ha stabilito che l'intervento all'assemblea
di tanti condomini che rappresentino almeno un terzo del valore dell'edificio e
un terzo dei partecipanti al condominio è condizione per la regolare
costituzione della riunione. Invece, proprio per facilitare la formazione della
volontà collegiale, il quorum deliberativo deve sempre fare riferimento alla
maggioranza degli intervenuti. La scelta del legislatore di rimettere a tale
maggioranza l'approvazione delle deliberazioni dell'assemblea condominiale,
secondo la Corte di cassazione, non è stata affatto irragionevole, né può
considerarsi lesiva della proprietà privata, in quanto la soluzione sempre
seguita dall'art. 1136 del codice civile è stata volta a contemperare le
ragioni dei proprietari con la tutela delle volontà individuali dei condomini,
che sarebbero altrimenti soverchiate nelle situazioni in cui vi è una evidente
sproporzione dei valori millesimali spettanti ai singoli partecipanti.
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